Uno studio sulle migrazioni tra Italia a Senegal
Creazione di opportunità di lavoro in agricoltura
Lo studio “Partire e Ritornare”, condotto dal Centro Studi e Ricerche IDOS di Roma, è il risultato di una ricerca che fa parte del progetto di cooperazione internazionale di Green Cross Italia denominato CREA (Création d’Emplois dans l’Agriculture), cofinanziato dal Ministero dell’Interno italiano con l’obiettivo principale di sostenere lo sviluppo locale, la creazione di posti di lavoro e, di conseguenza, diminuire la propensione a emigrare da parte dei giovani senegalesi.
Il rapporto presente una mappatura approfondita del fenomeno migratorio senegalese, in particolare verso i Paesi europei, cercando le motivazioni che spingono ancora oggi giovani a lasciare il Paese, indagando sulle loro speranze e le loro aspettative, sui successi e gli insuccessi, ma anche sul ruolo e gli atteggiamenti di coloro che rimangono, le loro famiglie e le loro comunità di villaggio.Quello che si delinea è un quadro preciso del fenomeno migratorio che nel 2017 ha portato l’Italia a essere il primo Paese europeo per numero di senegalesi titolari di permesso di soggiorno (97.056), seguita dalla Francia con 68.726 e dalla Spagna con 61.728.
In generale, si può dire che, sebbene i senegalesi abbiano una visione generalmente positiva della migrazione (soprattutto in termini di impatto economico), si rendono conto che di fronte al crescente protezionismo europeo per quanto riguarda l’immigrazione straniera, è necessario creare valide alternative per lo sviluppo interno del Paese. Per raggiungere questo obiettivo, il ruolo e la presenza dei cosiddetti “migranti di ritorno” dovrebbe essere ulteriormente promossa. Infatti, la maggior parte dei rappresentanti della diaspora intervistato non sembrano a proprio agio con l’idea di investire i loro risparmi nei territori rurali d’origine e preferiscono contesti urbani come quello della capitale. Vi è quindi una mancanza di fiducia da parte della diaspora nei confronti della regione di origine, tanto che i progetti finora realizzati dai migranti di ritorno si sono limitati a interventi molto immediati, incentrati sul miglioramento delle condizioni di vita della comunità (scuole, strutture
sanitarie, pozzi, ecc.).